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Pensione di reversibilità in caso di morte: come funziona

Quando una persona viene a mancare, oltre al dolore emotivo e all’impatto che un evento simile ha su chiunque, la famiglia del defunto si trova a dover affrontare anche questioni burocratiche, legali e soprattutto fiscali.  Queste faccende possono essere complicate, lunghe e difficili da districare. Per questo, se si hanno dei dubbi, è sempre bene rivolgersi a degli esperti del settore, che sapranno indicare che cosa fare passo dopo passo.

Nel caso in cui il defunto fosse titolare di una pensione Inps, si attiva una procedura chiamata “pensione di reversibilità”. Vediamo che cos’è la pensione di reversibilità in caso di morte e come funziona.

 

Pensione di reversibilità in caso di morte

Vediamo subito da vicino e nel dettaglio che cos’è la pensione di reversibilità in caso di morte e come funziona. La pensione di reversibilità è, a conti fatti, un sostentamento economico che spetta di diritto ai superstiti del defunto, nel caso quest’ultimo fosse un lavoratore iscritto in modo regolare alla gestione previdenziale Inps. In questo modo, lo Stato si prende carico dei superstiti, così come il defunto avrebbe fatto in vita, fornendo loro un sostegno.

Quando il titolare di una pensione Inps viene a mancare, la legge prevede che si comunichi all’Inps dell’avvenuto decesso, di norma entro 48 ore dall’evento. In questo modo, l’erogazione automatica della pensione viene bloccata, in attesa che la burocrazia faccia il suo corso.

Poiché sono faccende burocratiche, a cui non si vuole di certo pensare in momenti tanto dolorosi e delicati, è possibile affidare il tutto a un patronato autorizzato. Gli addetti del settore provvederanno a fare quanto necessario. È possibile inoltre ottenere in modo celere un’autocertificazione di morte, in attesa che il Comune rilasci quello ufficiale. Continuare a riscuotere la pensione di un deceduto senza comunicare la sua dipartita, infatti, costituisce un reato punibile per legge.

 

La storia della pensione di reversibilità

Sapere come sono nate determinate leggi del nostro Paese è sempre importante. Vediamo, in questo caso, come è nata la pensione di reversibilità in caso di morte e qualche accenno storico.

In origine, la pensione di reversibilità venne pensata con il decreto del 14 aprile del 1939-XVII, n.636, divenuta in seguito la legge ufficiale numero 1272 il 6 luglio del 1939. All’epoca le donne non avevano molti diritti e, soprattutto, non percepivano una pensione propria. La pensione di reversibilità in caso di morte, quindi, nacque con lo scopo di fornire una garanzia e un sostegno a chi restava vedova e non poteva più mantenersi in modo adeguato.

Nei primi tempi degli anni ’40 la legge fu oggetto di discussione e si presero in considerazione fattori a cui prima non si aveva pensato, come la durata del matrimonio o la differenza di età all’interno della coppia. A seguito di quelle riflessioni, venne deciso che la vedeva avrebbe avuto diritto a solo una parte della pensione del marito deceduto, che fu ridotta di ⅔. Fino agli anni ’80, questo ragionamento veniva valutato di volta in volta a seconda della situazione.

Nel 2011, infine, con la legge 15 luglio n.111, la legge sulla pensione di reversibilità è cambiata di nuovo, con l’introduzione di alcuni vincoli. L’obiettivo era quello di limitare i casi di matrimoni stipulati per convenienza. Per un periodo, quindi, la pensione di reversibilità in caso di morte poteva essere ridotta nel caso vi fosse una differenza di età superiore ai 20 anni tra i coniugi. Nel 2016, con la sentenza n.174 della Corte Costituzionale, la legge del 2011 venne dichiarata incostituzionale.

 

Pensione di reversibilità, quali i requisiti?

Nonostante lo Stato cerchi di provvedere ai superstiti di un defunto nel miglior modo possibile, perché possa esserci una pensione di reversibilità è necessario che chi è venuto a mancare si trovasse in determinate condizioni. Vediamo come funziona la pensione di reversibilità in caso di morte e quali condizioni devono essere soddisfatte.

I superstiti hanno diritto a una pensione di reversibilità nei casi in cui il defunto, al momento del decesso:

  • risulti titolare di una pensione diretta;
  • abbia 15 anni di contributi accreditati nel corso della sua carriera di lavoro;
  • abbia 5 anni di contributi accreditati, di cui 3 nei 5 anni antecedenti la data del decesso.

 

Pensione di reversibilità in caso di morte, a chi spetta?

Sebbene la pensione di reversibilità fosse all’inizio pensata per le vedove, a oggi le cose sono fortunatamente cambiate. La pensione di reversibilità in caso di morte, infatti, spetta di certo al coniuge superstite, si tratti di un uomo o di una donna.

Inoltre, a seconda dei casi, la pensione di reversibilità spetta ai figli, a nipoti, a genitori del defunto, o a fratelli e sorelle. Nei prossimi paragrafi vedremo nel dettaglio come funziona.

La pensione di reversibilità per i coniugi

Il coniuge superstite ha diritto alla pensione di reversibilità in caso di morte dell’altro coniuge. Un coniuge senza figli a carico ha diritto al 60% della pensione di chi è deceduto, all’80% se ha un figlio e al 100% se ha due o più figli.

Il coniuge superstite percepisce la pensione di reversibilità anche nel caso in cui fosse separato dal deceduto. Nel caso di divorzio, invece, il coniuge divorziato e superstite ha diritto alla pensione di reversibilità solo se è titolare di assegno divorzile.

Queste procedure si applicano anche nei casi di un’unione civile, nei confronti del superstite dell’unione civile.

Pensione di reversibilità per i figli

Come funziona la pensione di reversibilità in caso di morte, nei confronti dei figli del deceduto? I figli hanno diritto alla pensione di reversibilità nei casi in cui, alla data del decesso del genitore, siano minorenni, inabili, studenti oppure studenti universitari, a carico del genitore deceduto.

I figli di una persona deceduta non hanno diritto a ricevere la pensione di reversibilità del genitore per tutta la durata della loro vita, come accade nel caso del coniuge, ma solo fino a una certa età, salvo eccezioni.

Un figlio, infatti, percepisce la pensione di un genitore nei casi in cui:

  • siano minorenni;
  • fino a 21 anni di età se studenti di scuole superiori o frequentino istituti professionali;
  • nel caso di studenti iscritti all’Università, quest’età sale fino ai 26 anni, purché si sia in pari con la durata legale del corso di laurea e non fuori corso;
  • siano dichiarati inabili al lavoro; in quel caso, non vi è limite d’età per percepire la pensione di reversibilità.

Queste situazioni si applicano anche nel caso in cui uno o più figli siano stati adottati legalmente.

Pensione di reversibilità ad altri parenti

Vi sono casi in cui la persona che viene a mancare non ha coniuge, superstite dell’unione civile, o figli. In questi casi, la pensione di reversibilità in caso di morte spetta ai parenti superstiti, a seconda delle condizioni e delle situazioni.

In particolare, se il defunto non aveva legami più prossimi, la pensione di reversibilità può spettare a:

  • nipoti minorenni, che siano a carico della persona estinta;
  • ai genitori del deceduto, nel caso questi abbiano più di 65 anni di età, a condizione che non dispongano di una propria pensione e risultino quindi a carico di chi è venuto a mancare;
  • in mancanza di nipoti o genitori, la pensione di reversibilità può essere assegnata a fratelli e sorelle non coniugati, purché essi siano ritenuti invalidi al lavoro e a carico del deceduto.

 

Pensione di reversibilità: va restituita alla morte?

A volte accade che si riceva la pensione anche dopo che la persona titolare sia deceduta, poiché emessa dall’Inps prima del decesso. Questo non ha a che fare con la pensione di reversibilità in caso di morte, che sarà erogata poi in seguito se le condizioni base sono rispettate.

Nel caso l’Inps abbia erogato la pensione alla persona venuta a mancare, senza aver saputo del suo decesso, la pensione va restituita. Se la dipartita avviene, invece, alla metà di una mensilità, l’Inps eroga comunque la pensione che spettava al deceduto, ma solo per la parte del mese in cui il titolare risultava essere ancora in vita.

In questi casi, se la pensione viene erogata su conto corrente o su un libretto postale, gli eredi del defunto dovranno comunicare quanto accaduto alla banca – o alla posta – e restituire la pensione.

 

Come funziona la pensione e indennità di accompagnamento post – mortem

Poiché la vita è imprevedibile, a volte capita che qualcuno venga a mancare prima di aver ottenuto una pensione oppure una prestazione di assistenza, vale a dire, per esempio, un assegno di accompagnamento. Nel caso questo avvenga, gli eredi superstiti, anche non aventi diritto alla pensione di reversibilità, possono comunque domandare gli arretrati non riscossi. Questi, infatti, spettano loro per legge.

La legge sostiene in modo chiaro che, a prescindere dal tipo di prestazione, ogni arretrato che doveva essere disposto al defunto, passi tramite l’Inps agli eredi. L’Inps terrà conto della quota di eredità di ciascun erede, non solo di chi si faceva carico dell’assistenza della persona invalida.

 

A chi rivolgersi

Per fare domanda per la pensione di reversibilità in caso di morte, è possibile rivolgersi al sito dell’Inps oppure utilizzare i servizi telematici dei patronati.

In ogni caso, è sempre bene affidarsi agli addetti delle pompe funebri, che sapranno indirizzare nel migliore dei modi. Per ricevere assistenza anche nelle incombenze burocratiche, mettiti in contatto con noi: clicca qui.

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