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Da sempre la morte fa parte della vita e della società umana, fin dai tempi più antichi. Il lutto è sempre un momento particolare e difficile da affrontare, e il mondo in cui esso viene vissuto è differente a seconda della religione, della cultura e delle tradizioni. Tra queste, una delle più celebri è l’imbalsamazione egiziana.

Il popolo dell’antico Egitto è sempre stato legato ai riti funebri e al concetto di morte, a partire dalla loro mitologia fino alle tradizioni che sono giunte fino a noi. Grazie alla loro opera, a oggi è possibile conoscere molto della loro società.

Vediamo di approfondire l’argomento dell’imbalsamazione egizia, la sua storia, le tecniche e i riti funebri.

Il culto dei morti nell’antico Egitto

Prima di parlare dell’imbalsamazione egiziana è necessario comprendere quanto fosse importante per gli antichi egizi il concetto di aldilà.

Sebbene siano molte le divinità del pantheon egizie legate al mondo dei morti, tra cui Osiride, per esempio, il più celebre è senza dubbio Anubi, per via del mito particolare a lui legato.

Anubi era, infatti, il dio della mummificazione e dei cimiteri nella religione dell’antico Egitto. Il suo compito era quello di vegliare sulle necropoli e, nel corso della storia, si iniziò a considerare la sua figura anche come guida per le anime defunte. La storia per cui si conosce maggiormente Anubi è quella della pesatura del cuore.

Si pensava, infatti, che l’anima di coloro che non erano più in vita dovesse affrontare il giudizio di Anubi per accedere al regno di Osiride. La prova consisteva nel pesare su un piatto di una bilancia il cuore del defunto e, sull’altro piatto, una piuma di Maat, dea dell’armonia e della giustizia. Il peso del cuore non doveva superare quello della piuma. Se questo accadeva, si considerava l’anima pura e poteva procedere, in quanto stava a significare che chi era deceduto aveva condotto una vita esemplare. Se invece pesava più della piuma, il cuore veniva divorato.

Questo mito si ricollega in modo diretto al concetto di mummificazione e imbalsamazione tanto caro agli antichi.

Imbalsamazione egiziana, che cos’è

Per imbalsamazione egiziana si intende l’atto che mira a preservare i resti umani di un corpo per evitare che esso possa attivare il processo di decomposizione. Questa pratica veniva usata dagli antichi egizi in particolare per far sì che il corpo si conservasse, tanto che oggi si conservano diverse mummie all’interno dei musei, ancora intatte e in buone condizioni.

Imbalsamazione egiziana, la storia

La tecnica dell’imbalsamazione egiziana si collega in modo diretto alla religione e alle credenze del mondo egizio. Si pensa che l’imbalsamazione iniziò a fare parte della civiltà egizia fin dai 5000 a.C, e divenne frequente in particolare durante la I dinastia. C’erano sacerdoti appositi, specializzati in questa tecnica, che studiavano per riuscire a procedere nel modo corretto.

In origine, l’imbalsamazione si riservava solo ai sovrani, poi anche ai dignitari di corte, fino a quando non ne ebbero diritto anche i sacerdoti. Questo generò una grande fonte di lavoro per gli imbalsamatori e per coloro che rifornivano i materiali.

L’imbalsamazione non era comunque un retaggio esclusivo del mondo egiziano. Altre civiltà la praticavano, quali per esempio gli Aztechi e i Maya. In seguito si continuò a utilizzare la tecnica dell’imbalsamazione, in quanto essa permette di conservare una salma anche per un lungo periodo. Con il passare del tempo, tuttavia, essa non fu più la prassi, quanto meno non nel modo in cui la concepivano gli antichi egizi.

In particolare, le tradizioni legate al rito di imbalsamazione terminarono attorno al IV secolo d.C, quando iniziò a diffondersi il cristianesimo.

Imbalsamazione egiziana, le tecniche

Grazie a diversi studi si sa oggi che lo sviluppo delle tecniche di imbalsamazione egiziana era già a buon punto attorno al 3400 a.C. Con il passare del tempo divennero sempre più elaborate e complesse.

Per procedere all’imbalsamazione era necessario innanzitutto che il corpo venisse lavato e sottoposto a pulizia. In seguito, lo si stendeva su un ampio tavolo, per procedere con la parte più delicata. Il tutto si svolgeva in laboratori nelle prossimità del Nilo.

Gli imbalsamatori, che svolgevano con cura e con rispetto il loro lavoro, si occupavano di estrarre il cervello del defunto tramite la cavità nasale. In seguito, procedevano all’asportazione degli organi interni. L’unico organo che si lasciava all’interno era il cuore, proprio perché potesse essere sottoposto al giudizio di Anubi, secondo le credenze.

Si continuava a quel punto con la preparazione degli organi, che venivano deposti all’interno di quattro vasi canopi. Con del sale, detto natron, si sommergeva la salma del defunto per quaranta giorni, per far sì che ogni liquido al suo interno venisse assorbito. Solo in seguito si tornava a lavare il corpo con spezie, resine, balsami e lavaggi appositi. Tra gli ingredienti che più si usavano c’era la cera d’api oppure oli aromatizzati.

Una volta che questa parte giungeva a conclusione, si poteva avvolgere il corpo in bende di lino. Era presente una componente sacrale, in quanto i sacerdoti si occupavano di recitare invocazioni per attivare degli amuleti che accompagnavano il defunto. Si inserivano infatti amuleti tra le bende e questi avevano la funzione di proteggere il defunto. Tra i più famosi, si ricordano lo scarabeo del cuore, che era simbolo del dio sole Ra.

In totale, il processo di imbalsamazione e mummificazione durava all’incirca 70 giorni dal momento del decesso.

La maschera funebre

L’imbalsamazione egiziana non si concludeva con la cura della salma. Per procedere ai riti funebri, si passava a coprire il volto di chi era venuto a mancare con una maschera funeraria fatta di cartonnage, vale a dire strati di lino pressati e ricoperti di gesso. Questa maschera aveva le sembianze della persona che non era più in vita. Nel caso di faraoni, queste maschere si componevano di oro e gemme preziose. Per questo motivo sono da sempre ambite da ladri e criminali, e gli antichi egizi cercavano di rendere le tombe il più impenetrabili possibile.

Imbalsamazione egiziana, i riti funebri

Una volta che l’imbalsamazione egiziana si era conclusa, si poteva procedere con i riti funebri. Si depositava la salma all’interno di un sarcofago, che era ricco tanto quanto era stato importante in vita colui che era passato oltre. A volte, a seconda delle disponibilità economiche, si potevano avere anche due sarcofagi, in modo che uno contenesse l’altro.

I sarcofagi erano di norma in pietra o in legno. Le decorazioni erano ricche, elaborate, presentavano immagini iconografiche e scene della vita del defunto.

Inoltre, all’interno del sarcofago si sistemavano tutti gli oggetti che si poteva potessero servire nella vita nell’oltretomba. Tra questi, ad esempio, figurava il Libro dei Morti, vale a dire una raccolta di preghiere che potessero guidare chi era venuto a mancare nell’aldilà.

Prima di concludere il rituale funebre, i sacerdoti, i servitori – se si parlava di una figura nobile – e alcuni danzatori rituali si spostavano fino alla tomba, assieme al corredo funerario. Il sacerdote praticava a quel punto il rito dell’apertura della bocca, che aveva lo scopo di risvegliare l’anima e appagarla attraverso offerte di incenso, fiori, carne e vino. Questo rito, che non era esclusivo dei faraoni, si effettuava grazie a un sacerdote che indossava le vesti di una divinità specifica, incarnando la sua figura grazie a una maschera. In questo modo, in modo metaforico poteva ridare la parola o la vista al defunto, una volta nell’aldilà.

Faraoni, nobili e figure benestanti riposavano all’interno delle piramidi.

Mummie egiziane celebri

La pratica dell’imbalsamazione egiziana ha permesso a diversi corpi di arrivare fino ai giorni nostri. La mummia più famosa che a oggi si conosce è senza dubbio quella del faraone Tutankhamon, che è da sempre oggetto di leggende e misteri.

La mummia del faraone si trova all’interno della piramide KV62, come viene identificata. Il sarcofago, presente all’interno della camera funeraria, è in granito, e ha la protezione di una serie di cappelle in legno e in oro. La maschera d’oro copriva in origine il volto del faraone, mentre sul torace furono trovate due lamine d’oro, che avevano la funzione di impugnare due scettri. Tra le bende si trovarono circa 150 tra amuleti e gioielli, oltre a pugnali con fodero in oro. Tuttavia, forse per la morte improvvisa del faraone, sembra che la preparazione della salma non fu adeguata. Gli eccessi di oli e di unguenti resero infatti difficile rimuovere la mummia senza danneggiarla.

A scoprire la mummia fu Howard Carter, dopo cinque anni all’interno della Valle dei Re.

A oggi, vi sono circa 91 mummie che fanno invece parte della collezione del Museo egizio di Torino, visibile in ogni momento dell’anno. Queste mummie sono potute arrivare fino ai giorni nostri grazie ai complicati processi di imbalsamazione egiziana che gli antichi effettuavano.

Conclusione

Ogni popolo ha da sempre il suo legame unico e profondo con la morte e l’oltretomba. Il processo di imbalsamazione egiziana è da lungo tempo discussa e oggetto di fascino, mistero, e a volte timore. Col tempo, il modo in cui si trattano le salme di chi è venuto a mancare è cambiato, grazie all’utilizzo di ingredienti chimici che rendono più agevole conservare la salma.  Ciò che gli antichi egiziani eseguivano ha permesso all’epoca moderna di saperne di più sulla morte e sui riti funebri che all’epoca si celebravano. Questo testimonia che la morte è da sempre parte integrante della società umana.

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