Quando una persona cara viene a mancare si tratta sempre di un evento doloroso, difficile da affrontare, che porta con sé difficoltà burocratiche ed emotive. Uno dei momenti più ardui da affrontare è la decisione di quale scritta far incidere sulla lapide, in memoria di chi è scomparso. Questa scritta viene chiamata epitaffio.
L’epitaffio, che a oggi è considerato semplicemente la scritta che viene incisa sulla lapida, ha in realtà una lunga storia e tradizione, arrivata fino a noi. L’epitaffio più antico di cui si conosca l’esistenza risale addirittura al 430 avanti Cristo, e si tratta di un’orazione in onore dei caduti nella guerra del Peloponneso, pronunciata da Pericle.
Vediamo qualcosa di più sulla sua storia, il suo significato e il suo valore.
Epitaffio, il significato
Se si vuole trovare una traduzione letterale, la parola epitaffio vuole dire “ciò che sta sopra al sepolcro”. La sua etimologia è da ritrovarsi nel termine greco epitàphios, composto dal suffisso tàphos, ovvero tomba, e dal prefisso epì, che significa ‘sopra’. In seguito, si passò al latino epitaphium, da cui deriva oggi la parola moderna epitaffio.
Quando si parla di “ciò che sta sopra al sepolcro”, si intende quello che, nei tempi antichi, era un vero proprio discorso in memoria della persona che era venuta a mancare. Un modo per ricordare e per celebrare la sua esistenza, la sua vita, i gesti che aveva compiuto.
Con il tempo, si è scelto di incidere epitaffi sempre più brevi e corti, per via dello spazio presente sulle lapidi moderne.
Epitaffio, la sua storia
Le origini dell’epitaffio risalgono a tempi antichi, ben lontani da quelli moderni. Questo perché fin dall’antichità ogni popolo ha sempre cercato il modo di ricordare i propri cari e i propri defunti, di celebrare la loro vita e le loro gesta.
Per fare questo si pensò di commemorare i defunti con un discorso, ancora prima che un’iscrizione. L’epitaffio, infatti, in origine era un’orazione che aveva lo scopo di salutare chi era venuto a mancare e ricordarne le virtù. Da questo, il nome “sopra la tomba”, proprio perché il discorso veniva pronunciato al di sopra della tomba stessa.
Nell’antica Grecia, in particolare, per epitaffio si intendeva esclusivamente il discorso funebre che veniva pronunciato al momento delle esequie. Questo veniva fatto per rendere omaggio soprattutto a personalità celebri, come condottieri e guerrieri. Questa tradizione proseguì anche nell’antica Roma, restando per lungo tempo più una pratica orale che scritta. A Roma, per un periodo, l’epitaffio venne spesso confuso con la laudatio funebris, che altro non era che un omaggio al defunto da parte di un discendente o di un parente.
Diversi poeti si cimentarono nella scrittura degli epitaffi, tra cui Marziale e Catullo, i cui versi restavano impressi nella memoria.
Solo in seguito, nei tempi più moderni, l’epitaffio iniziò a essere considerato come un’iscrizione.
In Italia, a partire dal Trecento, l’epitaffio orale iniziò man mano a essere abbandonato, relegato alla storia antica. Con il tempo, divenne sinonimo di quanto veniva scritto sulla lapide, al pari dell’epigrafe. In un qual modo, l’epitaffio rappresenta l’epigrafe per eccellenza.
Epitaffio, la sua struttura
Poiché l’epitaffio era il modo più celebre per raccontare della vita di qualcuno scomparso e per dirgli addio, con il tempo la sua struttura divenne fissa. Il discorso era infatti composto in versi, al pari di una poesia, e per tanto vi erano regole che dovevano essere rispettate.
Si partiva con il preambolo, che dava inizio al discorso funebre e dove, di norma, si esprimeva il dolore per la perdita e la difficoltà nel trovare le giuste parole da utilizzare.
In seguito arrivava la parte narrativa, dove si raccontavano le gesta della persona o delle persone che erano scomparse, soprattutto se erano cadute in battaglia o durante una grande impresa. Nella parte centrale dell’epitaffio si ringraziava chi era scomparso per quanto aveva fatto in vita, fino ad arrivare all’epilogo, dove chi narrava l’epitaffio cercava di consolare i parenti e concludeva con l’augurio di imitare la persona defunta e quanto aveva fatto in vita.
Con il tempo questa struttura è, per ovvi motivi, cambiata, fino a essere solo una o più frasi scritte sulla lapide.
Epitaffi in letteratura
L’epitaffio è una forma stilistica che, nel corso del tempo, divenne usata anche in altri contesti al di fuori di quello funebre. Lo scrittore Edgar Lee Masters usò gli epitaffi per la sua collezione di poesie, chiamata Antologia di Spoon River.
All’interno della raccolta, formata da versi liberi, Edgar Lee Masters racconta la vita dei residenti di un paese immaginario chiamato Spoon River. Ogni personaggio racconta della sua vita, del suo lavoro, e della sua morte. Le poesie sono, infatti, sotto forma di epitaffio, unendo in questo modo una pratica funebre con un’opera letteraria.
Epitaffi più famosi
Si ha la credenza che un epitaffio, in quanto ultimo messaggio, debba contenere un significato particolare, magari un augurio ai posteri, una celebrazione della propria vita. Talvolta, invece, gli epitaffi venivano scritti da artisti, scrittori e poeti prima della loro dipartita, e contenevano parole dense d’ironia.
Un epitaffio è soprattutto un messaggio per i vivi, può quindi essere un augurio ai discendenti, una riflessione, o un omaggio alla persona che è venuta a mancare. Nel caso di personaggi celebri, l’epitaffio viene spesso utilizzato alla stregua di un testamento emotivo.
Epitaffi ironici
Tra alcuni degli epitaffi ironici più famosi di sempre si trova quello di Werner Heisenberg, fisico sepolto a Monaco di Baviera, in Germania, famoso per i suoi studi di meccanica quantistica. Fedele fino alla fine alla scienza, il suo epitaffio recita “giace qui da qualche parte”.
Ancora più celebre è, senza dubbio, l’epitaffio del cantante Frank Sinatra. La frase “il meglio deve ancora arrivare” è conosciuta ai più, ma non tutti sanno che rappresenta proprio l’ultimo lascito del musicista.
George Bernard Shaw, scrittore e drammaturgo famoso per l’opera Pigmalione, utilizzò la propria arte per lasciare scritto sulla propria lapide che “sapeva che qualcosa di simile sarebbe successo se avesse aspettato abbastanza a lungo”.
L’epitaffio rappresenta l’ultima parola, un’ultima battuta, e molti artisti hanno sfruttato appieno la possibilità di decretare quanto sarebbe stato scritto sulla loro lapide, per lasciare un segno nel mondo.
Epitaffi celebri
Alessandro Magno, macedone di nascita, fu uno dei più grandi condottieri della storia, ancora oggi ricordato dal mondo intero. Nel corso della sua vita riuscì a conquistare la Fenicia, la Siria e l’Egitto, prima di dirigersi verso l’impero persiano, dove si concentrò su Babilonia, Persepoli e Susa.
Scomparso giovane, la sua figura è divenuta celebre grazie alle sue imprese, alla sua personalità, che riusciva a conquistare chiunque, e grazie alle battaglie vinte. A renderlo una vera e propria leggenda, tuttavia, è stata la sua prematura morte, avvenuta quando aveva poco più che trent’anni a causa di una malattia.
Per celebrare la sua grandezza e le sue capacità, il suo epitaffio è scritto in modo tale da racchiudere in poche parole il suo inarrestabile istinto di conquista, vale a dire “un sepolcro basta a colui al quale non bastava il mondo”.
L’epitaffio di Primo Levi, invece, non contiene alcuna parola, ma solo numeri, eppure è di una potenza e di una efficacia unica nel suo genere.
Sopravvissuto ai campi di concentramento, di cui ha narrato nelle sue opere, Primo Levi ha voluto far sì che il mondo ricordasse gli orrori della storia anche dopo la sua morte.
La sua tomba risiede a Torino, nel Cimitero Monumentale, ed è composta da semplice marmo nero. Al di sopra, reca la scritta “174517”, vale a dire il numero identificativo che Primo Levi aveva tatuato sul braccio.
Come scrivere un epitaffio
Giunti ai tempi moderni, l’uso dell’epitaffio come discorso è stato progressivamente abbandonato, in favore di orazioni di stampo differente. A oggi, l’epitaffio rappresenta l’ultima scritta che viene incisa sulla lapide di chi è scomparso.
Questo momento è difficile per i parenti e per gli amici, poiché si tratta di sancire in modo definitivo l’addio a chi era loro caro. Per questo è sempre bene farsi aiutare dagli impresari delle pompe funebri, esperti del settore, che sono sempre al fianco delle famiglie.
Quando si decide di scrivere un epitaffio, è necessario tenere a mente tre dettagli in particolare, vale a dire lo stile dell’epitaffio, la scelta del tono, e la personalità della persona defunta.
Per quanto riguarda lo stile, di norma questo è incisivo, lineare e breve, per via dello spazio presente sulla lapide. La frase, o le frasi, devono essere semplici e d’impatto, perché quelle sono le parole che chiunque leggerà.
Il tono, invece, è del tutto personale. Non esiste un tono giusto o sbagliato, poiché dipende dalla personalità di chi è venuto a mancare. Di norma si tende a cercare un tono serio, solenne ed evocativo, ma non è sempre questo il caso. Se la persona scomparsa era ironica e apprezzava le battute, anche se non ha lasciato detto nulla, è possibile utilizzare un tono più leggero. L’importante è sempre concordare con i parenti, in modo da non mancare di rispetto a nessuno.
È possibile anche utilizzare citazioni, provenienti da testi sacri, da poesie, dalla letteratura o dalle canzoni, a seconda delle preferenze del defunto.
Davanti a dubbi di ogni genere, è sempre possibile rivolgersi agli impresari di pompe funebri per dei consigli.
Clicca qui per rivolgerti agli esperti delle Onoranze Funebri Motta.